Come perdere tutto alla lotteria degli oggetti
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Come perdere tutto alla lotteria degli oggetti

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Gaia è una mia lettrice che da tempo lotta con un problema di accumulo nella sua abitazione. Da una parte sente che casa sua sarebbe più bella e confortevole senza tutta quella roba ammassata, dall’altra però qualcosa la frena. Mi racconta un episodio recente che ben rappresenta il suo problema:


In un decluttering recente ho buttato un vecchio vestito della ex-moglie di mio padre. Era un vestito importante che lui le aveva regalato in un viaggio. Tutto nero, plissettato, lungo fino ai piedi. Pensavo: non lo metterò mai, mi ricorda una persona che non mi piaceva. Così l’ho messo nel sacco per la Caritas. A mio padre non l’ho detto perché era un suo regalo costato – diceva – un sacco di soldi. È vero che l’aveva regalato a lei ma quando lei glielo aveva restituito lui ha pensato che io potessi in qualche modo dargli un nuova vita, un senso diverso a quel suo gesto d’amore.

Ora succede che da qualche mese canto in un coro e siamo stati convocati per un concerto importante. Quel vestito sarebbe stato perfetto ma ahimè non c’è più. Io ho un unico abito lungo da sera beige (non sono avvezza alla vita mondana…), ricordo di una bella vacanza estiva in Tirolo. L’ho portato a tingere (il nero è obbligatorio) e così ho risolto il problema.

Ma in un angolino del mio cervello c’è un tarlo che lavora.

Perché ho buttato l’altro vestito? Sarebbe stato perfetto, avrei risparmiato i soldi della tintoria e avrei fatto contento mio padre. Mi consolo pensando che l’energia che avrei avuto intorno con quell’abito sarebbe stata negativa… ma chissà… chi può dirlo? Ecco questi episodi mi frenano un po’ mi fanno pensare che forse più che eliminare bisognerebbe essere ordinati e rispettosi, non so… mi sento un po’ in colpa.


 

Cara Gaia, prima di tutto grazie per il tuo contributo e per aver condiviso con noi un pezzo importante della tua vita emotiva. So per certo che moltissimi altri incontrano difficoltà simili, e la tua domanda mi dà l’occasione perfetta per parlarne.
Chi ha tentato l’impresa di liberare il proprio spazio dagli accumuli conosce bene i sentimenti e i dubbi di Gaia:

“Sarà giusto eliminarlo?” – “Mi ricorda XYZ…” – “È costato dei soldi!”

E se poi un oggetto eliminato si rivela invece utile in seguito, viene il dubbio che tutta questa storia del decluttering non sia poi così salutare, che in fin dei conti faremmo bene a portare avanti la tradizione dei nonni che hanno vissuto la guerra e conservare tutto quel che possiamo…in fondo, come dice Gaia, chi può dirlo? Non si sa mai. Vai a vedere che, alla fine, ha ragione chi tiene tutto con l’idea che “può sempre servire”. “Ecco! L’ho dato via e ora mi servirebbe! Tu e il tuo decluttering! Hai visto, che POTEVA SERVIRE?”

Ma questa reazione apparentemente logica non tiene conto del quadro complessivo.

È vero: a volte succede che alcuni degli oggetti conservati si rivelino davvero utili. Ma c’è una differenza fondamentale tra un oggetto che serve e uno che può sempre servire. Nel secondo caso, non sappiamo quali di questi oggetti serviranno poi davvero, e quali no. E non sapendolo, l’unico modo per non eliminarne uno che poi si sarebbe rivelato utile è tenerli tutti.

Lo dico subito senza mezzi termini: questa strategia è disastrosamente perdente.

È un po’ come dire che, siccome alcuni biglietti della lotteria vincono dei premi, allora è giusto comprarli tutti. Ovviamente, comprarli tutti non ha alcun senso perché il costo complessivo di tutti i biglietti è molto maggiore del valore dei premi. E quello che resta fuori dal calcolo del “può sempre servire” è precisamente questo: il costo della conservazione degli oggetti che non serviranno mai. Il costo dei biglietti perdenti.

Un criterio del genere potrebbe funzionare se tenere gli oggetti non ci costasse nulla.

Invece, ogni oggetto in nostro possesso ha dei costi: il costo del suo acquisto, certo, ma anche quello dello spazio che occupa, del tempo che richiede per essere gestito, ad esempio spostato, trasportato, pulito. Se un oggetto è alloggiato nel nostro spazio personale, è certo che ci sta privando di qualcosa; perché abbia senso tenerlo, deve darci almeno altrettanto in cambio. Deve risolverci dei problemi, o darci vero piacere. Perché se ci toglie più di quanto ci dia, il possesso di quell’oggetto sta riducendo il nostro benessere anziché aumentarlo. Questo è il punto essenziale: gli oggetti in eccesso non sono innocui. Gli oggetti in eccesso provocano un danno.

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L’esperienza dimostra che quando teniamo un oggetto con l’idea che può sempre servire, 99 volte su 100 di fatto non servirà. Significa che su 100 oggetti che teniamo perché “possono sempre servire”, 99 provocano un danno: generano problemi, anziché risolverli.

Purtroppo, i danni dell’accumulo sono molto più gravi di quanto si pensi.

Il danno economico è abbastanza evidente: ho pagato per oggetti che non uso, che a loro volta occupano uno spazio che ho pagato (o pago) e non posso usare per il movimento o l’attività. Nel corso consiglio un semplice calcolo per quantificare l’ordine di questo danno, perché le cifre che risultano sono così inaspettatamente alte che diventano un fortissimo fattore motivante. Altri danni sono meno evidenti, ma anche più gravi, a cominciare dai danni psicofisici: riempire il proprio spazio vitale di accumuli disordinati ha sulla salute effetti che – in base all’entità dell’accumulo – variano dal fastidioso al tragico. Ci sono poi i danni temporali, i danni relazionali e sociali.

La lista è lunga, e non è questo il luogo per spiegare come questi danni vengano generati nel dettaglio. (Il luogo per farlo è la prima parte delle lezioni video del corso).

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Conosco personalmente individui che per via di un disturbo da accumulo hanno rischiato di bruciare vivi, o vivono in un terzo dello spazio che stanno pagando, o hanno guastato irrimediabilmente il rapporto con i familiari e/o la loro immagine pubblica. Altri che non conosco di persona hanno avuto sorti ben peggiori. E sono certo che tutti, prima o poi, hanno pronunciato la fatidica frase.

“Può sempre servire” è forse l’obiezione più comune al decluttering.

È una reazione istintiva che manifesta il timore di trovarsi vulnerabili e sprovvisti nel momento del bisogno. È così fondamentale che nel corso ha una serie di slide tutte per sé:

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Purtroppo, la reazione più comune è anche una delle trappole più insidiose. La medaglia indica che “può sempre servire” è il criterio di valutazione che più di tutti porta ai danni da accumulo. Perché? Perché è in assoluto il più vago, il più generico.

È un non-criterio: con un po’ di fantasia, TUTTO può sempre servire. E infatti, chi ragiona così tiene proprio di tutto, perfino oggetti che osservatori esterni considerano spazzatura vera e propria.

Altri oggetti, invece, hanno un valore e una potenziale utilità, come il vestito di Gaia. Un giorno potrebbero effettivamente servire. Ma non lo sappiamo con certezza. La loro utilità è incerta. Tuttavia, siamo sicuri che che finché occupano il nostro spazio in attesa del grande giorno in cui finalmente serviranno, contribuiscono a creare un accumulo che ci danneggia in modo certo e continuo.

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In ultima analisi, quindi, abbiamo due possibilità:

A. tollerare l’incertezza, cioè fare decluttering rischiando di eliminare qualcosa che prima o poi sarebbe tornata utile

B. tenerci gli accumuli con tutto ciò che ne consegue

Dopo aver studiato l’argomento per anni e aver conosciuto da vicino il disturbo da accumulo, sia come esperto Feng Shui, sia come individuo, parente, amico, non ho il minimo dubbio che la scelta giusta sia la A.

Se l’utilità di un oggetto è incerta, va allontanato dal nostro spazio.
Perché se conservassimo tutti gli oggetti di utilità incerta che vi transitano, subiremmo un danno molto maggiore della occasionale e temporanea mancanza di un oggetto utile.

Oltre tutto, un’abitazione piena di accumuli ha effetti psicofisici che aumentano la probabilità che nel selezionare gli oggetti facciamo la scelta sbagliata.

Il comportamento di accumulo è legato a una condizione di generale disorganizzazione, confusione mentale, insicurezza, difficoltà a prendere decisioni, alla tendenza a lasciare troppe questioni aperte, e alla sensazione di essere sempre tirati in troppe direzioni simultaneamente. Più accumuli, e meno riesci a scegliere. Più accumuli, e più separarti dagli oggetti risulta difficile e doloroso. Viceversa, più procedi nel decluttering, più impari a fare buone scelte.

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Questo significa che se Gaia avesse già sviluppato buone pratiche di decluttering…

1.    la sua abitazione le avrebbe permesso di muoversi, respirare e pensare in modo più libero e chiaro

2.    avrebbe avuto un semplice sistema di allocamento dello spazio. Avrebbe saputo esattamente quanto spazio prendono i suoi vestiti rispetto a tutti gli altri oggetti, e avrebbe potuto valutare più lucidamente la possibilità di tenere quello, magari per un’occasione come il concerto

3.    se avesse scelto di donarlo comunque, l’avrebbe fatto in modo deciso, sereno e senza rimpianti, anziché sentirsi confusa e avvilita

Data la situazione, la scelta di Gaia è stata comunque la migliore. È la scelta che, alla lunga,  conduce al benessere maggiore. Se avesse tenuto il vestito con l’idea che poteva servire in tempi e modi non specificati, avrebbe dovuto fare lo stesso con mille altre cose che arrivano nella sua abitazione. Il che peserebbe sul benessere suo e dei suoi cari molto più della mancanza di quel vestito. Cosa sono le poche decine di euro della tintoria in confronto ai danni economici, psicofisici e relazionali profondi che provocano gli accumuli a lungo termine?
So benissimo che il pensiero di aver eliminato un oggetto che ora sarebbe utile è un’esperienza fastidiosa e, in qualche modo, triste. Ma le ricompense di uno spazio libero e vitale la ripagano ampiamente! A volte la decisione giusta è dolorosa, e per ottenere un benessere maggiore dobbiamo rinunciare a una gratificazione minore.

Purtroppo, distinguere tra un valore maggiore e minore è proprio una delle cose che riescono difficili quando abbiamo un problema di accumulo.

Tempo e spazio limitati ci impongono di fare delle scelte. Ma come facciamo a scegliere se non abbiamo chiaro il posto degli oggetti (e delle attività, relazioni, progetti..) in una gerarchia di valore? Come facciamo a rinunciare serenamente a qualcosa se non sappiamo cosa conta di più, e cosa meno?

La ricerca dimostra in modo molto chiaro che una delle ragioni alla base dell’accumulo è la difficoltà ad attribuire alle cose un certo valore relativamente ad altre cose. E in effetti, per quanto strano possa sembrare, nei casi più seri di accumulo compulsivo è tipico vedere oggetti di grande valore accatastati insieme a inutile ciarpame e perfino rifiuti.

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E non c’è bisogno di essere casi clinici per avere difficoltà a decidere. A chi tra noi non farebbe bene avere le idee più chiare sui propri valori e priorità?

Ad esempio, nel discorso di Gaia mi ha colpito questa frase: “forse più che eliminare bisognerebbe essere ordinati e rispettosi, non so… mi sento un po’ in colpa.”

Si porta rispetto a qualcosa che vale. Probabilmente Gaia intende che bisognerebbe essere “rispettosi” del valore degli oggetti, del lavoro di chi li ha creati, di quello che hanno richiesto per essere acquistati, e magari della storia che rappresentano. Indiscutibilmente, queste cose hanno un valore. Ma se parliamo di fare delle scelte, il punto non è cosa ha valore.

Il punto è cosa ha PIÙ valore, che cosa merita PIÙ rispetto.

Vale la pena di considerare che:

  1. Tenere in ordine gli oggetti inutilizzati non risolve il problema degli accumuli, e comunque non è una soluzione realistica. Tenere in ordine un gran numero di oggetti richiederebbe una quantità di tempo che nessuno di noi può realisticamente dedicargli. Infatti gli accumuli sono quasi sempre disordinati. Abbandonare gli oggetti a un polveroso oblìo chiusi in qualche sportello o in una catasta di cianfrusaglie non significa onorarli. Significa svilirli e insultarli.
  2. Nell’accumulare oggetti, stiamo svilendo e insultando anche lo spazio che bloccano. Anche lo spazio delle nostre case ha un valore, anche lo spazio ha richiesto tempo e fatica per essere creato e acquistato, o mantenuto. Anche lo spazio ha una storia, anche lo spazio ci rappresenta. Intasarlo con mucchi di roba che non usiamo è una mancanza di rispetto sia per noi stessi, sia per tutti coloro che lo condividono con noi.
  3. Dalla qualità del nostro ambiente di vita dipende in larga misura la qualità della nostra salute fisica e mentale, la nostra vita familiare e relazionale. Queste cose non meritano forse rispetto? Non ne meritano forse più dei pochi oggetti che si rivelerebbero utili dopo essere stati eliminati? Se ci sentiamo in colpa per aver eliminato un oggetto che poteva servire, quanto dovremmo sentirci in colpa per aver compromesso la qualità del nostro spazio per tenere quello e altre migliaia di oggetti solo potenzialmente utili?

 

Conservare gli oggetti può essere una forma di rispetto, ma può anche essere una mancanza di rispetto. È sempre una questione di valore: per dare rispetto a cose di valore inferiore, rischiamo di non rispettare cose di valore superiore. È questa la grande trappola dell’accumulo: ci porta a rinunciare all’oro, per restare aggrappati al piombo. Ed è questa la grande lezione e la grande ricompensa del decluttering: impariamo a rinunciare al piombo per fare spazio all’oro, nella nostra casa e nella nostra vita.

 

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Nadia

Ti ringrazio moltissimo per questo articolo. L’ho trovato molto interessante, ricco di spunti preziosi sui quali riflettere. Grazie ancora !!!!

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Ricky

Grande articolo, complimenti!
Questa frase e’ formidabile: ” È sempre una questione di valore: per dare rispetto a cose di valore inferiore, rischiamo di non rispettare cose di valore superiore. È questa la grande trappola dell’accumulo: ci porta a rinunciare all’oro, per restare aggrappati al piombo”

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Duke

Sono da mezz’oretta “benvenuto” su questo sito (in effetti di solito il benvenuto ci viene “dato” da chi è già in un posto e ci accoglie, ma per me resta il fatto che sarò pur sempre io a decidere se mi ci sento realmente, capitato in un bel posto, come appunto in questo spazio dai toni pacati e dagli scambi di opinioni puntuali ed intelligenti), e ci sono capitato perché ho da poco finito di combattere il mio dragone, uno “sgombero” dalla valenza importante, durato anni (siamo 4 fratelli, e si trattava del laboratorio di ebanista di nostro papà, locale in cui ora io ho il mio negozio, quindi o mi decidevo io… Però gli altri “sì, ma butta pure via tutto”, poi invece quando passavano da lì “ah, ecco dov’era il mio XY”, ma poi rimaneva li, raccontato in breve!!) per questo motivo mi sento autorizzato a dare una mia opinione sulla vicenda del vestito cestinato che abbiamo letto sopra.

Anche la protagonista è alle prese con una battaglia che si protrae nel tempo, e capendo perfettamente quel tipo di situazione credo che la signora, buttando via quel vestito, quel giorno lo abbia fatto per ottenere una “vittoria” facile, una soddisfazione.. ma fasulla. Liberarsi di quell’oggetto poteva sembrarle una decisione importante, un gesto eclatante. In realtà, partendo dalle considerazioni del nostro Lorenzo a proposito delle esperienze che spesso “abbiniamo” a certi oggetti, invece di conservare l’esperienza e gettare l’oggetto, quel giorno Gaia fece il contrario.

Liberandosi di quel vestito desiderava colpire soprattutto la sensazione negativa ad esso legata, senza pensare razionalmente che (come accennato anche dallo stesso Lorenzo), non è che un vestito piegato e ben riposto sarebbe stato poi un reale disagio. C’erano sicuramente altre cose più ingombranti, ma quel gesto, nella sua percezione, sembrava fare più “rumore”. È stato come sparare sulla Croce Rossa per lei: in realtà non è stato difficile. Ma una parte di lei però… è rimasta ad aspettare l’occasione per dire “hai visto che ti sarebbe servito?”. Mentre invece, se lo avesse ancora avuto, la sera del concerto se lo sarebbe al massimo provato un attimo, guardata allo specchio e… “Hm, no, meglio un’altra cosa”. Ma ora, ovviamente, era il vestito perfetto, creato da sarti sapienti anni or sono, da sempre predestinato a quella serata del concerto. Che disastro!

Invece a tutti coloro che dal racconto di Gaia riescono a vederci un gran “vedi che poteva servirti? Ecco cosa succede a buttare via le cose!” , voglio dire un’altra cosa. Per riuscire a spuntarla tante volte mi aiuta pensare così: quale è la cosa peggiore che potrebbe capitare se ora mi libero di questo oggetto? Che mi servirà? Ma se adesso mi servisse una cosa, la verrei a cercare qua in mezzo? Se non mi è servita per gli ultimi 5 anni, non è che non mi serve, semplicemente?

Ragazzi la storia di Gaia, al massimo, può essere considerata l’eccezione che conferma la regola. Il che significa <è talmente raro, come evento, in pratica rasenta il mai, che se per disgrazia succede si chiama "eccezione", perché differisce dalla "regola". E la regola è: no, non ti servirà. E se non la butti tu adesso, comunque la butterà via chi verrà dopo di te. Perché gli oggetti, quando non ci saremo più, loro saranno ancora lì, non muoiono con noi, né si disperano per la nostra morte. Sono già immondizia oggi, solo che a volte non riusciamo a vederlo. E chi dovrà lavorare su quel mucchio di immondizia, sicuramente non ci benedirà.
Abbiate pazienza, forse ho usato dei termini un'po' offensivi per tutti quei cari oggetti: si offenderanno?

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